“Memoria di frammenti” Sequenza di circa 50 fotogrammi (2001)
“…Cutini è cittadino della natura nel senso pieno del termine, della natura ama le pietre, la materia geologica, ama l’acqua che scorre sul parabrezza della macchina, la luce che filtra attraverso la pioggia di un temporale, le foglie delle piante grasse che si aggrovigliano sul tratto di un ciglio, l’agave su uno scoglio che si ridimensiona nei tratti rocciosi, i tratti salini e le selci che si intravedono su una facciata di un pendio, l’impronta e il segno dell’acqua che nel buio notturno divide il cielo dalla terra, la strada che si disperde sul paesaggio più romantico del selciato. Qui è chiaro che, il principio che organizza la serie dei testi regola anche il valore del testo (sempre al plurale). Non è possibile guardare un solo fotogramma tratto da “Memoria di frammenti” e rimanerne persuasi e neanche è possibile scegliere un’immagine di pianta, di albero, di foglia che prevalga sull’altra.
Il testo appare vivo, perché la continuità tra i confini del suo discorso testimonia della sua forza e della sua apertura. L’identità di una fotografia, prima ancora di questo o di quello scatto, è lo spazio in cui ha luogo l’azione e l’intervento dell’obbiettivo. Stando alla tecnica della fotografia e della rappresentazione lo sguardo di Cutini si mostra fuori dall’orizzonte stesso dell’immagine, in quanto sembianza ed apparenza, perché è una foto che rincorre i tratti più marginali dei rovi, dei muschi, delle piantagioni, delle pietre. E’ un atteggiamento assolutamente “micro” che non adotta le strategie “macro”.
E’ l’ambiente in cui si svolge il ciclo fotografico che testimonia quanto l’occhio è stanco della vanità. Una stanchezza che non è associale, ma che si pone come pura critica e scetticismo.
Cutini, facendo serie di foto con lo stesso soggetto, insiste sulla regolamentazione della propria memoria. Tiene duro sulla ricerca dello scarto minimo a partire dalla serie…” G. Perretta (2008)