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Giorgio Cutini Fotografo

“Egl’io” (sequenza di stati d’animo) (30 fotografie, 2017 – 2022)

“Questo lavoro è testimonianza della contemplazione e caduta nel profondo di sé, avendo come centro dello sguardo un Albero che assurge ad universo intero. La percezione è ciò che sta fuori di me, e che io faccio mio, è il mondo esterno che diventa me”. Una sottile inquietudine mi fa tremare e nel contempo desiderare: tremare difronte alla propria caducità, desiderare di annullarsi e fondersi nell’albero e nella natura tutta. “Io imparo a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondamente e non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva. Ho un luogo interno che non conoscevo.” (Reiner Maria Rilke)
.
g. c.


n°1: inquietudine


n°3: solitudine


n°5: ansia


n°7: malinconia


n°9: curiosità


n°11: intimità


n°13: gioia


n°16: serenità


n°17: vanità


n°22: gelosia


n°25: desiderio


n°28: immedesimazione

“…Anche nella fotografia, humus personale di Giorgio Cutini, i riferimenti abbondano. Mi limito a citare soltanto due nomi: Edward Weston, i cui alberi monumentali sono testimonianze della maestosità trascendente, anche schiacciante, di madre Natura; e più vicina a noi Paola De Pietri, i cui alberi spogli, solitari, apparentemente orfani, comunque perdurano nella loro caducità come emblemi di una resilienza post-pandemica e non solo. Ma poi avviene qualcosa di nuovo.

Arriva a noi un altro albero. Un albero in cerca di qualcuno, di un interlocutore. Un albero insolito, per niente personaggio, in cerca non di autore ma di relazione. Arriva a noi l’albero di Giorgio Cutini, il singolo albero di Egl’io, che si presta a sua volta alla ricerca indefinita del fotografo inquieto, bisognoso – come rivela nella conversazione che chiude questo piccolo volume – di qualcosa che lo acquieti, in un momento particolarmente turbato della sua vita di uomo oltreché di artista. Arriva l’albero con il quale l’artista entra, attraverso una danza lungo quattro anni, in una sorta di sacra, osmotica intimità. È una danza lenta la loro, fatta di tentennamenti, di ammiccamenti, di approcci e sussurri che finiscono per marcare i confini di un temenos che non ha pari, credo, nelle arti visive contemporanee. Il risultato di questo corteggiamento, di questa unione, io e Giorgio lo offriamo qui, in una sequenza di pregnanti immagini che spaziano dagli stati d’animo da cui ciascuna fotografia prende il nome fino a comporre una sinfonia per il nostro tempo, dove alla musica si sostituisce il silenzio di chi sa ascoltare con gli occhi. Ringrazio Eugenio De Signoribus, Flavia Orsati, Gabriele Bevilacqua e Paolo Febbraro, che con le loro raffinate intelligenze ci aiutano a leggere questa mirabile composizione. E che ci invitano, con discrezione, a sfogliare le stagioni di una sontuosa, impareggiabile cronaca d’amore.

Antony Molino

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