Napoli, PAN Palazzo delle Arti, 3 febbraio – 20 marzo 2018, a cura di Marina Guida
“Le ombre della sera, l’incanto senza tempo di un’opera di Alberto Burri, il movimento scomposto di piume in volo, il rumore del vento, un sorriso inatteso, la durata di un attimo, l’intensità dell’emozione, gli sconfinamenti, l’imprevisto, il confine, l’inarrestabile flusso di coscienza, i dettagli della visione, i trasalimenti, gli inabissamenti e le riemersioni, le improvvise illuminazioni. Sono questi i soggetti che predilige Giorgio Cutini, nelle indagini iconiche selezionate per questa mostra.
Gli elementi primari del suo orizzonte visivo, sono i fili sottili della trama dell’inconscio. Instancabile esploratore delle vaste plaghe dell’immaginario, l’artista, si muove in ogni direzione, con occhio indagatore e sensibile; inquadra porzioni di realtà e le trasferisce in un’atmosfera visionaria, svelando l’invisibile del visibile. I suoi soggetti sfumati e fuori fuoco, sono raccontati attraverso qualche dettaglio sfuggente; narrano di un movimento instancabile: nel passato, in terre lontane, fra le strade delle città che percorriamo ogni giorno – ma che non vediamo e non percepiamo nella loro essenza – e soprattutto, in un altrove; in un luogo ed in un tempo che prescindono dalle coordinate spaziotemporali razionali. Sono visioni fluttuanti, sospese tra il sogno e la realtà, che attingono al vasto campionario iconico delle immagini inconsce, emozionali, fermate e cristallizzate dall’obiettivo fotografico con una sintassi antimonumentale. Ci troviamo in presenza di un tracciato sincopato, un sentiero di attimi sospesi, in cui ogni immagine si fa pausa, percezione, ascolto, pulsazione, stasi. Tanto basta, se seguiamo Giorgio Cutini, per scoprire paesaggi dell’anima, cui di rado dedichiamo attenzione, soffermandoci in silenzio, per sedimentarne l’intensità. Sono immagini liminali, che ci immettono in mondi paralleli, da altre leggi strutturati. Il fotografo è un flâneur, un ricercatore di visioni, che seleziona, piccole porzioni di mondo, risonanti scintille della visione, dell’ inarrestabile flusso iconico, e ricostruisce le sue città irreali, le città di Jo Kut, che si nominano per assonanza con le iniziali dell’artista. Come un palinsesto visionario, qui ritroviamo frammenti delle città visitate ed amate, quali Roma e Napoli, o semplicemente sognate. Qui non esistono confini urbani e nessun recinto della tecnica. L’artista, si muove libero, trasgredendo i postulati della fotografia accademica. La messa a fuoco, la velocità di scatto, l’apertura del diaframma, la profondità di campo, che strutturano l’impalcatura della “buona fotografia”, sono sapientemente disattese. Ne consegue una totale disinvoltura della visione e dell’azione. In queste opere, la mente e lo sguardo fluiscono lentamente, e si lasciano condurre in territori inattesi: le città del sogno e del desiderio, le città delle ombre; le città del canto degli alberi, dell’indicibile, del mistero, del gioco, delle attese, dei fantasmi della mente; le città della memoria. Come nel capolavoro “le Città Invisibili” di Italo Calvino, qui, le immagini, che più che luoghi fisici, conducono in uno stato della mente, in un varco dell’altrove. Cutini cristallizza l’attimo, ne coglie i nessi causali, le trame combinatorie; spariglia le carte della logica, afferrando al volo insolite similitudini ed apparenti casualità. In una fotografia in mostra, vi si legge la scritta “Non Frenare”. E’ un monito, un auspicio, un invito, a non indugiare, a lasciarsi andare e seguire il flusso dell’esistenza, a sgomberare la strada dagli impedimenti e dai ripensamenti. Unico imperativo: lasciar fluire. Vivere. Fedor Dostoevskij diceva che bisogna amare la vita più della sua logica, per carpirne meglio il senso; e di questo suggerimento, Giorgio Cutini, sembra aver fatto l’intento programmatico del suo modo di essere, guardare, fotografare. Marina Guida