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Giorgio Cutini Fotografo

“Mistero della Fede” (1972) Sequenza di 70 immagini 50 delle quali pubblicate nel volume “Mistero della Fede, la bellezza e la poesia del tragico pubblicato da Silvana Editoriale, 2018”

…Con questo ciclo fotografico di grande intensità e forte impatto emotivo l’artista unisce una ricerca consapevole sul senso del sacro, a un’ indagine sui volti e le azioni di un’ Italia ormai perduta. La grande distanza, non solo temporale, che ci separa da questi scatti ha paradossalmente aumentato l’incisività della loro qualità iconica, eliminando ogni elemento possibile di reportage e di cronaca (del resto inesistenti nella volontà di Cutini) e ampliando invece il senso di dolore che pervade la loro atmosfera.

…In queste opere il fotografo annuncia con chiarezza le linee espressive e i fulcri della sua ricerca futura, mostrandosi non solo già attento al dinamismo, al movimento dei corpi e delle cose nel loro intreccio con il tempo, ma anche alla solennità nascosta nei piccoli momenti della vita quotidiana, al rapporto consapevole con il senso della morte e della fine dell’esistenza terrena e della stessa arte.

…Cutini non ha mai cercato di fissare l’attimo che trascorre, ma di dare un senso al ritardo del tempo con cui il nostro sguardo si trasforma in ricordo, diventando un frammento di quello stesso tempo immagazzinato nei depositi della memoria. In questo modo quel ritardo prende una nuova forma e già in queste opere Cutini annuncia la sua ricerca sull’incertezza sfuggente del nostro essere e del nostro vedere, grazie a questi scatti che potenti e saldi come se fossero scolpiti nella roccia o incisi dagli acidi su una lastra segnata da un disegno sapiente, mostrano tutta la fragilità del mondo contemporaneo che spesso accumula certezze effimere perdendo di vista il senso più profondo dell’esistenza Lorenzo Canova, Marzo 2018

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IMMAGINE DEL SACRO. “Gesto sacrale come momento dell’umano. Carico di speranza e di dolore. Segno di una paura arcaica e d’una volontà eroica di sopravvivenza. Immagini che lo colgono: cappucci illividiti o lumi accesi. Carne negata che ritorna tenace, negata e amata. Talora il gesto è cupo, sacrifica l’umano in nome di un divino feroce che tutto pretende, rivela la paura: è quello che amo meno, cosi presente nell’uomo, cosi esteso. Ma, altrove, consacra oggetti e persone, cosi come voleva Pasolini, le toglie al commercio quotidiano. Guardare alla sacralità senza asprezza e senza mistico trasporto, collocarla lucidamente nell’umano”. Umberto Piersanti (Ottobre 1986)

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