Museo Ghergo, Montefano (MC), dal 6 al 28 settembre 2025. A cura di: Vincenzo Izzo.
“Veli di coscienza”
È assolutamente un orgoglio ospitare al Museo Ghergo una personale di Giorgio Cutini, un autore fine, sofisticato e profondo che ha saputo sviluppare una straordinaria poesia dello sguardo con una ricerca estremamente personale ed autonoma assolutamente rara nel panorama della fotografia contemporanea. Cutini è autore di un’analisi visiva che propone nuove logiche della visione, nuovi modi di relazionarsi con l’esistente, alla ricerca di quello che sta oltre il visibile con differenti modi di percepire l’istante in transito, la memoria, le sue profondità, le sue incertezze, i suoi enigmi. Su di lui si sono espresse grandi penne, ben più onorevoli della mia, che da differenti prospettive hanno messo in luce la taratura ed il valore delle sue ricerche.
Pur nella singolarità delle sue immagini tutti si sono adoperati nel sottolineare come Cutini non sia un autore naif, un isolato, ma anzi come sia stato capace di attingere e crescere attraverso le sensibilità dei più fini autori di un panorama nazionale ed internazionale, e di come sia stato in sintonia con ricerche fotografiche, poetiche e letterarie di ancora altri eccelsi autori. È questo un aspetto già pregevolmente messo in luce e un mio discorso in merito nulla aggiungerebbe a posizioni già consolidate. È appurato che la singolarità del suo lavoro sia in relazione con ricerche a lui contemporanee, ma si è poi anche rivelato profondamente autonomo rispetto agli influssi ricevuti. Cutini è cioè autore estremamente colto in più ambiti, si guardava attorno, vedeva, leggeva, incontrava personalità di grande levatura e affinità, ma prima di tutto scavava dentro sé stesso con audacia e autonomia di s5le. Da più parti è ancora emerso come la sua fotografia sia di una fine matrice concettuale, assolutamente condivisibile, ma quì preferirei tenermi alle dovute distanze da questa definizione, per l’abuso che riscontriamo oggi del termine che potrebbe relegare la sua opera in semplici o astrusi regni dell’ermetico. Vorrei invece tentare di portare un altro paradigma al lavoro di Giorgio Cutini, partendo dal concetto chiave di Erwin Panofsky secondo il quale gli artisti hanno sempre rappresentano la spazialità e la figurazione secondo la concezione che essi avevano del mondo. Per Panofsky ogni nuovo modo di vedere il mondo sottintende un nuovo modo di relazionarsi ad esso, esprime una pratica, una posizione ed una filosofia in relazione ad esso. Per cui analizzare un sistema di figurazione significa addentrarsi in quel sistema filosofico con cui l’autore si relazione al mondo. Ecco, in questo sta a mio avviso la forza ed il grande valore dell’opera di Giorgio Cutini, quella di aver abbandonato le certezze delle visioni ottiche, istantanee e cristalline della realtà, assolutamente non sufficienti per lui a comprenderla. Il suo sguardo è capace di posarsi dolcemente sui luoghi, cerca il silenzio, amplifica quel magico senso di attesa, lascia il tempo alla coscienza di emergere, attende quella lenta rivelazione, in sintesi diviene un raro cacciatore di epifanie. Siamo cioè lontani dalle logiche del definito e del cristallino, ma egualmente distanti da quelle dell’astrazione, le sue immagini al contrario trasudano pathos e sembrano dirci: “la realtà trasuda di sensazioni, viviamo un frammento labile, transitorio, incrociato, sospeso tra passato e futuro, imbevuto di memoria e trasfigurato da turbamenti e meraviglie; in questo regno siamo esseri senzienti, pensanti, non dispositivi meccanici o ottici, così funzioniamo, togliamo il velo a dogmi di finte e scontate visioni, a dubbie certezze; qui tutto partecipa, soprattutto il mio io e la mia storia devono partecipare…”. Ecco quindi che le sue immagini si trasformano in frammenti di coscienza che vanno oltre le apparenze e cercano dietro fugaci sembianze ciò che sta sotto e dietro. Qui i neri come i bianchi assoluti divengono cassa di risonanza di un vuoto-pieno, di un vuoto che respira e comunica, di un vuoto che interroga, di un vuoto garante di realtà più profonde che tenta una figurazione dell’invisibile; qui la fotografia non punta più a replicare il mondo, ma vuole e tenta di svelarlo. È così che la superficie indagata spesso trasfigura a ricordarci la sua precarietà ed i suoi strati plurimi; in quel luogo sta avvenendo quella sintesi meravigliosa tra le immagini del mondo, quelle dell’esperienza di un’istante e quelle che emergono dal profondo dell’interiorità, dove anche storia, memoria e presagi si intersecano e tentano di mostrarsi. Qui la sua ricerca, pur così in5ma e soggettiva, compie un altro prodigio e prende una connotazione più ampia che riguarda anche noi, altrimenti queste immagini non potrebbero toccarci così nel profondo ed essere così emozionalmente coinvolgenti. In un’epoca tutta stordita da rumori di ogni tipo, Cutini si muove verso il silenzio, in un’epoca di sguardi tutti protesi alla superficie, Cutini si spinge nel profondo. È un percorso sospeso, tenero e profondamente umano; a me sembra senza certezze, ma come del resto è la vita.
Vincenzo Izzo
