Capri (NA), Villa Lysis, 8 settembre – 9 ottobre 2018, a cura di Marina Guida
“L’arte, la fotografia in particolare, è un viaggio. E di sovente, come in questo caso, il viaggio è un duplice viaggio.
Da un lato il fotografo si addentra per noi nella realtà, con l’obiettivo della sua macchina fotografica. Questa realtà viene attraversata e percorsa, indagata e ripresa, con sapienza tecnica e strumentazione sofisticata, oppure con voluta basilarità dello strumento. La realtà è oggetto, ob-iectum, posta di fronte alla macchina e all’occhio che vi sta dietro, è vivisezionata e ridotta in frammenti, in uno stato – tuttavia solo apparentemente – disomogeneo, le parti di un intero vengono private della loro appartenenza a questo intero e del senso che quest’ultimo dona ad esse. Questi frammenti sono solo apparentemente privi di appartenenza, perché tenuti insieme da un discorso, dal senso dato dal soggetto interpretante ed operante dietro l’obbiettivo – quando ciò è nelle intenzioni dello stesso e quando la realtà resa oggetto di osservazione lo consente.
Ma anche quando sembra che l’oggetto non lo consenta o quando l’artista sembra voler mostrare i frammenti nel loro carattere combinatorio e isolato, vi è comunque, ex negativum, un filo conduttore, un meta-discorso, che l’artista-fotografo mette in campo, con l’intento di togliere anziché aggiungere un senso compiuto predeterminato – con fare talvolta intenzionale, talvolta casuale, e che può decidere di riportare al suo spettatore, rendendolo più o meno visibile o percettibile. E ciò avviene tanto nello scatto stesso, quanto nella successiva fase allestitiva. Quest’ulteriore passo interpretativo nel mettere insieme gli scatti frammentari in un discorso di messa in mostra può essere attuale, pregno di un senso conferito dal vivere degli uomini contemporanei, ma talvolta è, volutamente o involontariamente, non- o anti-contemporaneo, spostando tutto il discorso, l’oggetto e gli spettatori, in un mondo passato oppure futuristico, virtuale oppure onirico, o anche trasformando un viaggio nella realtà esterna in un viaggio, invece, in un mondo interiore, dell’artista o dello spettatore che sia. In questo viaggio, tuttavia, come già si intuisce da questo discorso, non ci sono solo la realtà osservata e ripresa, da un lato, e un osservatore o un’osservatrice dall’altra. Nel mezzo si trova piuttosto, ed è proprio per questo suo essere collocato per forza in mezzo che si chiama così, il medium dell’intero lavoro, dell’opera e del viaggio di cui è mezzo e strumento (da instruere, costruire, disporre, allestire ecc.) ovvero la fotografia stessa, intesa come macchina fotografica, tecnica di ripresa, supporto di riproduzione, modalità di osservazione ecc. – aspetti mai lasciati al caso, e per lo più, se non sempre, scelti sapientemente, con il criterio di chi ha compreso la differenza tra arte e realtà, tra cultura e natura, di chi sa che oggetto ripreso e soggetto osservante sono costitutivamente scissi ed al contempo legati da una corrispondenza sottile. Ed è per questo che la fotografia, è un viaggio anche nel medium stesso, un viaggio nel rapporto tra il soggetto che guarda, scruta, legge ed interpreta la realtà che trova davanti – oppure si fa trovare davanti in un certosino lavoro di (ri -)costruzione, e l’oggetto colto, dinanzi all’obbiettivo, e immortalato in uno scatto, che sia poi successivamente rielaborato oppure no. Quest’ultimo dettaglio non modifica lo statuto immediato tra soggetto e oggetto appena descritto, ma vi aggiunge certamente un ulteriore elemento di complessità, che rimette in gioco tutte le componenti e rende il tutto ancora più interessante ed affascinante, ma anche difficile da ordinare nelle sue molteplici, se non infinite sfaccettature. Si tratta di un lavoro di composizione, scomposizione e ricomposizione, come se fosse dialetticamente la tesi, l’antitesi e la sintesi da parte di un uomo-creatore, sebbene creatore di una realtà “altra”. Ma è poi anche un lavoro di manipolazione di una realtà, di cui a questo punto ben si comprende come non possa mai essere oggettiva, ma sempre e soltanto lasciata all’interpretazione, all’arbitrio di senso che ognuno, che sia il fotografo, il critico o l’ osservatore del risultato (in verità mai) definitivo dell’opera o del corpus di opere.
Ebbene, possiamo dire che il viaggio compiuto da Giorgio Cutini, chirurgo e fotografo, nativo a Perugia, ma che vive ad Ancona, nel lavoro presentato in questa mostra, è un viaggio esattamente in questo duplice senso. “Sequenze e occasioni” – è un atto di vivisezione di realtà per mezzo della macchina fotografica e di foto istantanee (nel senso del fermare l’istante), e la ricomposizione di queste istantaneità, con un senso talvolta compiuto, talvolta incompiuto, per mezzo di due concetti apparentemente opposti – “sequenze” e “occasioni” – che vengono invece fatte interagire e che hanno la funzione (di nuovo apparentemente) ordinatrice e donatrice del senso dei frammenti di un tutto da ricomporre. Quello di Cutini è, per l’appunto, un viaggio duplice, perché è un discorso-viaggio nella realtà accompagnato, ma anche intrinsecamente pervaso e condizionato da un secondo viaggio, quello nel medium della fotografia e dell’interpretazione, su cui questo lavoro e questa mostra puntano una lente ermeneutica che ne mette in evidenza le complessità, che ne smaschera le apparenti certezze, che fa emergere l’impossibilità di giungere a risultati sicuri, a isole di certezza e ancore di salvataggio nel mare magnum della realtà e della sua percezione mai univoca. Si tratta di prendere atto della realtà del nostro percepire il mondo che ci circonda, che ci getta nell’incertezza e nel conseguente sconforto già riguardo alla realtà oggettuale, prima ancora di affrontare, con le medesime se non amplificate difficoltà, l’Altro uguale e al tempo stesso così diverso da noi, che nella sua alterità e diversità ci si fa incontro spesso perturbante perché apparentemente incomprensibile.
Nei due corpi di lavori fotografici, Cutini mette insieme fotografie di uno stesso oggetto in successione le “Sequenze” e scatti singoli le “Occasioni”. Ma come nel mondo della percezione e dell’interpretazione fin qui descritto non si dà alcuna univocità della realtà, e neanche delle sue chiavi di interpretazione, così Cutini rispecchia questa circostanza nel contemplare tra le sequenze, di per sé un lavoro pensato e programmato, studiato e progettato, anche la presenza di scatti singoli, purché, tuttavia, essi abbiano una qualche validità espressiva e comunicativa, ma non in un senso assoluto ed ontologico, bensì del suo pensiero di fotografo, all’interno della scena ri-costruita. Come a interrompere e scadenzare il flusso costruito delle successioni di foto, come a dire che la continuità della ricomposizione della realtà scomposta sia opera di chi la ricompone, il quale può persino inserire, in questa sua chiave di lettura, delle istantaneità prese dal di fuori della successione di foto, che per quanto pensate e programmate pur in qualche modo si appartengono in maniera più originaria. Ed è evidente come le “Sequenze” realizzate con una macchina fotografica stenopeica, vivano proprio di questa tensione tra successione e scatto singolo, tra scomposizione, (ri-)composizione, e l’inserimento di corpi apparentemente – ma non troppo – estranei. E’ il lavoro dell’artista che con il suo discorso tiene insieme il tutto.
A segno inverso, ma, in fondo, sulla stessa falsariga si lascia leggere l’inserimento di scatti in successione anche nel corpus di fotografie chiamato “Occasioni”, con la differenza, sostanziale e non formale, che non si tratta di un lavoro pensato e programmato, ma fatto in circostanze lasciate “accuratamente”, mi si lasci passare questo ossimoro, al caso, fortuite e non previste, doni perfetti dell’attimo inatteso”. Marina Guida